sabato 31 dicembre 2011

Capitolo 2 - Tagliatele La Testa

Mia sorella perdeva la testa per le Barbie, e loro la perdevano per me. Letteralmente.
Alcuni miti passarono prima dalla ghigliottina, e poi alla Storia; come l'ingenua Marie Antoinette, che si scusò col boia per avergli involontariamente pestato il piede mentre andava al patibolo; o la spiritosa Anna Bolena, che, prima della morte, si complimentò per la fama dell'esecutore, vantando un collo molto sottile; o la plateale Mary Stuart, che si fece tagliare la testa con 2 colpi perché la prima volta non era stata abbastanza efficace da dividerla dal resto del corpo.
Quelle bambole, prima di essere decapitate, avevano a disposizione un ultimo desiderio, che puntualmente sceglievo io dato che non volevano collaborare dicendomelo loro in modo esplicito: un rapporto indimenticabile col mio Action Man, un vero fusto dalle mille doti nascoste.
Poi le Barbie più sfortunate venivano sadicamente trafitte con gli aghi che mia nonna usava per cucire, come se fossero bambole voodoo. Ma dubito di aver conosciuto nella mia infanzia ragazze così favolosamente perfette che quelle Barbie potessero rappresentare; le amiche di mia sorella erano tutte brutte e, peggio ancora, avevano le ascelle pelose e puzzavano inequivocabilmente di sudore quando andavo a salutarle dopo ogni partita di pallavolo a cui ero costretto a presenziare; per cui non le consideravo nemmeno. Eppure Mila e Shiro e quell'odiosa di Nami non sembravano così maleodoranti. Forse Yoghina, la ragazza-armadio, lei sì.
Devo dire che da piccolo, oltre ad essere già un attento osservatore di particolari inquietanti e un severo critico verso gli altri, ero un vero e proprio teppista di strada: rubavo le armi a mia nonna, tenevo in ostaggio le vittime, tagliavo le teste; un bambino prodigio insomma, il Mozart della criminalità organizzata.
Ma ero anche umano e provavo pietà verso alcune potenziali prede; per esempio, la bambola preferita da mia sorella, tale Camilla, era troppo simpatica e cicciottella per essere torturata e finivo col risparmiarla ogni volta. E poi aveva i capelli rossi e le lentiggini sulle guance. E la sottoveste bianca, che chic!
Uno dei pochi vantaggi di non essere figli unici era che, volente o nolente, trovavi sempre qualcuno con cui giocare o da prendere di mira, mentre tutti i tuoi amichetti erano all'allenamento di uno sport per cui tu eri negato o alla festa di compleanno di un antipaticone che non ti aveva invitato.
Mia sorella era il mio passatempo per antonomasia. Una volta le feci addirittura promettere che ci saremmo sposati. Ovviamente non avevo ancora sentito parlare di incesto perseguibile penalmente.
Aveva un'amica, che presto per me divenne il bersaglio numero 1.
Era la classica bambina che tutti odiano ed invidiano allo stesso tempo; quella ragazzina che, se fosse nata in America, poi sarebbe certamente diventata una cheerleader di successo; dopo essersi fatta bionda però. Infatti aveva lunghi capelli neri sempre acconciati dalla madre con pettinature improponibili ispirate alle protagoniste di Beverly Hills 90210, grandi occhi azzurri in cui potevi vedere riflesso il tuo sorriso e scoprire un'eventuale carie nascosta, poi era mediamente paffuta, come Shirley Temple ai tempi d'oro, e soprattutto era l'unica del quartiere a non portare l'apparecchio ai denti. A dire il vero nemmeno mia sorella l'aveva, e nemmeno io. Però tutti gli altri sì, ed è questo che conta: eravamo dei privilegiati. Non come nostro cugino, forzato a portare il baffo, che gli dava delle strane sembianze robotiche.
Insomma, questa sua amica pareva uscita dalla tv. Ma non da una di quelle scadenti serie spagnole a basso budget che sembrano girate tra gli espositori dell'Ikea; da una vera e propria produzione hollywoodiana con almeno 8 stagioni già programmate.
E la sua casa sembrava il set di una di queste serie. Abitava vicino a noi, quindi andavamo a trovarla spesso. Ok, io non c'entravo niente ma riuscivo sempre ad infiltrarmi.
Ricordo che aveva una stanza destinata unicamente ai giocattoli, e la odiavo per questo. Un bambino costretto a dividere la propria cameretta col fratello minore considerava ovviamente inaccettabile che qualcuno avesse tutto quello spazio a disposizione, e non poteva far altro che bramare cotanto splendore. Le cose inutili sono sempre le più ambite nel nostro inconscio da consumisti corrotti del XXI secolo.
Quel magazzino enorme, così pieno di ricchezze da far invidia al laboratorio degli elfi di Babbo Natale, o agli improbabili negozi di giocattoli su 6 piani che si vedono negli originalissimi film per bambini, fu il mio sogno proibito per lunghi anni.
Appena entravi in quella stanza, la prima cosa che monopolizzava la tua attenzione era una casa delle bambole enorme, così immensa che avrebbe potuto ospitare i senzatetto gravidi d'inverno, o fungere da rifugio antiatomico in caso di guerra, e aveva anche una cucina funzionante per i pasti caldi; o almeno, io credevo funzionasse davvero. Non ricordo di aver mai visto il bagno però.
Mia sorella portava lì le poche Barbie che erano rimaste intatte e non sfigurate dal sottoscritto, ma in confronto alle altre dell'amica-principessa sembravano davvero delle poveracce; credo che le bambole stesse si vergognassero di presentarsi al loro cospetto in quelle condizioni.
Le Barbie dell'amica di mia sorella erano delle serie fashion addicted: munite degli accessori più cool della stagione, capelli che per magia o per miracolo non sembravano la paglia di una stalla o il nido di una rondine, una shopping bag in armonia con l'outfit sempre a portata di mano e una voglia irrefrenabile di camminare sui tacchi senza stancarsi mai, tanto da avere il collo del piede già curvo e paralizzato.
Sognavo di poter regalare quelle bellissime bambole a mia sorella un giorno. Ecco, in alcuni momenti desideravo che quella ragazzina viziata fosse una delle tante Barbie di plastica, l'ennesima mia vittima sacrificale.
...In che senso?
Luke.

giovedì 29 dicembre 2011

Capitolo 1 - Potere Alle Ragazze

Il mio primo vero amore furono cinque ragazze, contemporaneamente.
Avevo 8 anni, mia sorella 13, e fu tutta colpa sua.
Ah, e comunque sto parlando delle Spice Girls.
Mia sorella era appena entrata nel mondo delle teenagers; in quegli anni il suo destino era segnato, era pronta ad incarnare perfettamente lo stereotipo della ragazzina anni Novanta: trucco da panda (o da pugile vicino alla sconfitta), capelli rigorosamente frisé da far invidia alle pecorelle di Heidi, zeppe antistupro e antimina, jeans a zampa di elefante con qualche fiorellino osceno ricamato per mettere in risalto i punti giusti, e soprattutto pomeriggi interi a guardare Mtv nella speranza di vedere in onda il video della boy band preferita. Altri tempi insomma, per fortuna.
Non faceva altro, e io ne approfittavo per rubare la sua Barbie più nuova, rasarla a zero e poi decapitarla.
Ricordo che un giorno la vidi sul divano, in atteggiamenti adulatori verso uno strano aggeggio di plastica: la musicassetta delle Spice Girls. Non capivo cosa fosse, ma ovviamente dovevo averla. E così successe.
Quando in casa esiste solo una cassetta non puoi far altro che ascoltarla all'infinito. E tutta quella ridondante sovraesposizione provoca un inevitabile e letale lavaggio del cervello; fui vittima inconsapevole del complotto mediatico e così me ne innamorai.
Le sorelle maggiori ricoprono un ruolo fondamentale durante l'infanzia di un bambino, esercitano una grande influenza, un po' come quelle mocciose sdentate nelle pubblicità dei giocattoli che riescono sempre a convincerci che le scarpette retroilluminanti con due centimetri di tacco siano indispensabili per la nostra esistenza; sapere che a lei piaceva quella cassetta mi faceva sentire in dovere di ascoltarla ancora di più. E la stuprai in ogni angolo della casa, dai nonni, mentre guidavo la bicicletta con le rotelle, quando accompagnavo mia madre al mercato per farmi dare un assaggino di formaggio dai salumieri, durante le noiose gite al mare di domenica, davvero ovunque ed in ogni occasione. Seduto in auto, isolato dagli auricolari del mio walkman blu elettrico, ero convinto di riuscire a capire l'esatta disposizione fisica delle 5 ragazze in studio mentre registravano i brani, perché ovviamente nel mio immaginario avveniva come in alcuni video che avevo visto: tutte insieme appassionatamente, perfettamente in sincrono, intonate, e con trucco, capelli e vestiti impeccabili.
Consumai quella cassetta e un giorno si ruppe. Ero tristissimo, ma per fortuna uscì il loro secondo album, e questa volta comprai il cd, per sentirmi più tecnologicamente avanzato, e poi perché era davvero una rottura dover sempre riavvolgere le cassette o metterci ore per trovare l'inizio di una canzone, che col tempo si storpiava nei punti più consumati del nastro ed il timbro risultava simile a quello di un orco stupido. Comunque in seguito ruppi anche quello: il cd si spezzò in 2 mentre provavo ad infilare un fazzoletto di raso nel buco centrale. Non so perché stessi facendo una cosa del genere; giochi ambigui da adolescenti, presumo.
Uscirono molti libri sulle Spice Girls, e mia madre non me ne volle mai comprare uno. Ma ero fortunato, perché a scuola, nella mia classe, c'era una ragazza che li aveva tutti, e io me li facevo prestare. Un po' alla volta provavo a fotocopiarli, ma, se non facevo in tempo, avevo un piano B: leggevo questi libri ad alta voce e mi registravo con lo stereo, poi, una volta finita la lettura, copiavo i testi con la macchina da scrivere rosso fuoco dei miei nonni, con cui ormai ero un asso. Lo so, un pazzo non sarebbe riuscito a fare di meglio, ma ho ancora quelle registrazioni da qualche parte conservate come reliquia, a meno che mia madre non le abbia buttate nella spazzatura a mia insaputa. In realtà, come è facile comprendere, tutto quel lavoro non serviva a niente; penso si trattasse solo di puro feticismo.
Poi un giorno mia sorella si fidanzò, e presto scoprii che la sorella del suo ragazzo, che aveva (e ha tuttora) la mia età, amava le Spice Girls, e teneva un diario in cui raccoglieva tutti gli articoli di giornale che le riguardassero. In me nacque subito un insano desiderio di competizione e ne feci uno, che doveva essere mille volte più bello: centinaia di pagine di riviste accuratamente ritagliate come nemmeno un serial killer professionista saprebbe fare.
Trascrivevo anche le interviste dalla tv dopo averle registrate su una videocassetta; ogni singola parola pronunciata dalla traduttrice era oro colato per me e andava scrupolosamente riportata. Spesso mi interrogavo anche su come facesse quella misteriosa signora di mezza età senza volto a tradurre così velocemente tutto quello che dicevano con il loro orribile accento British di periferia, e arrivai alla conclusione che barasse in qualche modo; miracoli della menopausa, forse.
Iniziai anche a tradurre personalmente i testi delle canzoni. All'inizio con mia sorella: io cercavo tutte le parole sul vocabolario e poi chiedevo a lei il senso delle frasi, perché per me non ne avevano. Quando capii che mentiva e inventava alcune parole per perdere meno tempo, decisi di fare a modo mio. Imparai l'Inglese da solo così. Grazie alle Spice Girls.
Gradualmente ero diventato un abile ed esperto collezionista senza vita sociale; avevo solo 10 anni.
Poi il gruppo si sciolse e tornò tutto alla normalità.
Non così velocemente, perché quando appresi la notizia al Tg piansi come una fontana, un po' come fecero mia sorella ed il resto del mondo quando Robbie Williams abbandonò i Take That.
Mi chiusi in camera, mi buttai sul letto e accesi la radio: uno speaker annunciava la notizia, per girare il coltello nella piaga e infierire un po'. Piansi ancora.
Geri era la mia preferita.
...In che senso?
Luke.